Questione di alchimia
date » 27-05-2020
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Un incontro visivo tra Kensuke Koike e Terry Renda
Cos’è che trasforma pochi ingredienti in una ricetta? O meglio qual è il suo processo? E se ne utilizzassimo uno solo? Bè, potremmo iniziare a prendere una carota, tagliarla a striscioline, condirla con olio, sale, aceto e una spolverata di pepe nero. Gustandola così senza troppa elaborazione nella preparazione. E se invece la tagliassimo in tanti piccoli cubetti, aggiungendo di tanto in tanto un po’ di brodo caldo, gustando in finale un’invitante zuppa di Carote? O forse no, meglio creare dei sottilissimi spaghetti di carote e immergerli in olio bollente. E poi che piatto utilizzo per comporre il tutto? Chiaro, scuro, rettangolare?
La riuscita della mia ricetta sta tutta nel processo, nel suo giusto equilibrio. È comunque sempre una questione di alchimia. Kensuke Koike, artista Giapponese, che vive e lavora a Venezia utilizza per il proprio lavoro immagini ritrovate in diversi archivi, principalmente immagini fotografiche. Ricreando poi un proprio archivio personale. Sulla propria pagina Instagram si definisce appunto un alchimista e afferma che i processi utilizzati per trasformare le immagini sono simili a quelli utilizzati da un alchimista come l’arte di manipolare e trasformare i metalli meno nobili, come il piombo, in oro.Kensuke utilizza immagini ormai dimenticate, buttate via, memorie perse che acquisiscono un nuovo valore. Ricrea così qualcosa che non esiste, pura immaginazione che diventa una realtà osservabile e comunque manipolabile all'infinito. Una nuova memoria.A proposito di carote, Kensuke nell'introdurre uno dei suoi lavori “Single image processing” realizzato nel 2013, afferma:
“Se avessi avuto degli ingredienti nel mio frigo, avrei potuto cucinare qualsiasi cosa. Ma alcuni ingredienti è possibile che non siano mai usati. Se trovo solo una carota, la devo cucinare nel miglior modo possibile, tagliarla, gratinarla, arrostirla, bollirla ecc. Con più ingredienti non avrei mai scoperto che la carota da sola potesse essere un ingrediente così delizioso".
”Viviamo immersi, sovraccaricati di continue immagini e non riusciamo a comprenderne il totale significato.Vedere, osservare, guardare una sola immagine è diventato alquanto complicato, quasi impossibile. Sì perché quell’immagine, la singola immagine da sola ci sta suggerendo già un messaggio, un’emozione, una sensazione. Ma ormai le immagini, quelle fotografiche poi, non ci arrivano mai da sole, sono sempre correlate da altro. C’è quasi sempre un’immagine che ne precede un’altra e ne segue una subito dopo. O ancora una didascalia, un messaggio, una descrizione che ne vuole rafforzare quasi sempre il significato.Ma se in quella singola immagine concentrassimo la nostra attenzione e provassimo per esempio a capovolgerla? A cambiare la prospettiva da cui la osserviamo, un passo più in là ed uno più avanti? Noteremmo subito particolari diversi, inconsueti, che a prima vista erano sfuggiti al nostro occhi ormai distratto sempre da altro. Da quella singola immagine, senza togliere nulla e senza aggiungere nulla, potremmo avere innumerevoli immagini, tutte diverse tra di loro. Potremmo continuare questo gioco infinite volte e il risultato non sarà mai lo stesso.Kensuke realizza nel 2018 la serie “No more, No less“: lavoro che produce in collaborazione con l’artista francese Thomas Sauvin. No more, No less è una serie composta da tre libri, lanciati durante Paris Photo, da tre editori diversi: Skinnerboox, Éditions e Jiazazhi.Creare per ricreare qualcosa di nuovo, è questo per me la fotografia. Ogni volta che penso ad un nuovo progetto, cambia e si ritrasforma progressivamente in altro. È come se ad un certo punto fosse lui a guardarmi, a suggerirmi nuove soluzioni. È come se io fossi un operatore intento a seguire il volere altrui. Scattare è il primo processo, ma tutto ha inizio ancora prima. La mente, il pensiero o meglio gli innumerevoli concetti, riflessioni, considerazioni si mescolano tra di loro. Forse le mie fotografie inizialmente suggeriscono una grande confusione. In realtà il processo seguito per realizzarle è l’esatto opposto, è dare ordine al caos della mia mente. Un’armonia che prende forma solo attraverso l’immagine mentale che diventa immagine reale. Affinché questo avvenga la mia mente ha bisogno di continui stimoli. Impulsi che danno origine ad una conoscenza che diventa poi creativa. La creatività è fantasia, ma la fantasia è sempre figlia della conoscenza.
Kensuke è una fonte di ispirazione. Il mio sguardo era già affine ad alcuni suoi modi di manipolare e trattare l’immagine fotografica. Sicuramente sono figlia di questa nuova realtà, di questa frenesia che invade il nostro modo di guardare il mondo. Ho incontrato Kensuke per caso lungo la mia ricerca, e per un non so cosa, tra centinaia di libri che mi sono ritrovata di fronte, ho scelto No more, No less. Ripartire da un archivio fotografico, da una vecchia fotografia di famiglia o da un fotografia che ha segnato la storia delle immagini è a volte ripetitivo, ridondante, noioso. Molti sono stati nel corso della storia i fotografi e gli artisti che hanno percorso questa strada. Poco originale però come strada da seguire oggi giorno. Credo che il saper dosare, utilizzare e manipolare il vecchio con qualcosa di contemporaneo più che di ieri sia estremamente difficile. Ma nonostante ciò, quando il sorpassato sa cambiare forma, trasformarsi completamente in altro, allora è lì che risiede l’essenza del artisticità.L’artista non crea dal nulla, manipola, altera ciò che possiede. Dona la propria interpretazione delle cose. Per restituire poi ad ognuno la propria visione. Nelle sue opere Kensuke ci lascia in bilico tra ciò che è vero e ciò che è volutamente falso. Sembra reale, ma non lo è. Basta affinare il proprio occhio, essere consapevoli che di autentico non c’è nulla. Tutto è un’eterna finzione. D’altronde questa è l’epoca dell’inganno. Di un illusione, che ci ostiniamo a chiamare ancora realtà.